L’inganno del “Made in Italy”
Io volo Alitalia, anzi Carpatair
Un fatto di cronaca che mi ha fatto pensare a una similitudine fra l’Alitalia e tanti noti brand che sbandierano il (falso!) Made in Italy.
Fino a prima del 2 febbraio 2013, chi conosceva Carpatair?
Ci voleva un incidente aereo all’aeroporto di Fiumicino (per fortuna senza gravi conseguenze) per portare alla luce un vero e proprio inganno ai danni dei passeggeri, convinti di viaggiare con la compagnia aerea italiana per eccellenza: l’Alitalia.
Tutti abbiamo davvero capito come stavano le cose quando nottetempo, come ladri, una squadra di verniciatori ha eliminato tutti i loghi Alitalia dal velivolo.
Made in Italy. Siamo sicuri?
Appena letta la notizia, e in particolare il blitz notturno per lo “sbianchettamento” dei loghi, mi è scattato il parallelo con ciò che da anni sta accadendo nel mondo dell’abbigliamento.
Di come cioè griffe italiane, ingannino i loro clienti facendo credere di essere prodotto italiano, quando di italiano c’è rimasto solo il nome. In un silenzio quasi assoluto, hanno chiuso le fabbriche nostrane licenziando decine di persone e hanno trasferito all’estero le produzioni. Nel mentre, aumentavano gli investimenti pubblicitari puntando proprio sull’Italian lifestyle.
Di “Made in Italy” io ci vedo solo l’ipocrisia.
Ritornando alla faccenda Alitalia/Carpatair, mi hanno colpito le parole di Carlo Rienzi, presidente di Codacons, che ha presentato una formale diffida all’Enac e una denuncia alla Procura della Repubblica di Roma:
“È gravissimo che agli utenti, al momento dell’acquisto di un biglietto, non siano rese informazioni chiare e precise circa il vettore che eseguirà il collegamento aereo. Le diciture che appaiono sui biglietti, e che dovrebbero individuare le compagnie aeree ‘terze’ sulle quali si viaggerà sono assolutamente insufficienti e incomprensibili, e rischiano di configurare una lesione ai diritti dei passeggeri”.
Mi sono divertito a sostituire poche parole e la stessa frase è risultata perfetta per descrivere ciò che accade nell’abbigliamento in Italia, e non da oggi:
“È gravissimo che ai clienti, al momento dell’acquisto del prodotto, non siano rese informazioni chiare e precise circa il produttore che ha eseguito quel capo. Le diciture che appaiono sulle etichette e che dovrebbero identificare le aree di provenienza ‘terze’ nelle quali i capi sono stati prodotti, sono assolutamente insufficienti e incomprensibili e rischiano di configurare una lesione ai diritti dei consumatori”.
Trasporti aerei, capi di abbigliamento, buchi bancari, è questa l’Italia che ci meritiamo?
Noi pensiamo di no e non ci arrendiamo.
Andiamo controcorrente: continuiamo a eseguire artigianalmente i nostri capi di biancheria intima, nel nostro unico laboratorio produttivo (e controlliamo tutta la filiera prima di noi).
E ce la mettiamo tutta per… resistere, resistere, resistere!
Commenti
Concordo pienamente.
Mantenere il lavoro in Italia è fondamentale per la nostra economia.
Delocalizzare in quei paesi dove non vengono rispettati i diritti umani, animali e dell’ambiente, si traduce in una concorrenza sleale e senza regole, a danno delle aziende etiche come la vostra.
Grazie Fabio.
Non vorremmo apparire come degli eroi. Facciamo cose normali, ovvero il nostro lavoro, e ci piace farlo bene. Basterebbe non dico essere sostenuti, ma almeno non essere ostacolati in questo.
Grazie Fabio.
Non vorremmo apparire come degli eroi. Facciamo cose normali, ovvero il nostro lavoro, e ci piace farlo bene. Basterebbe non dico essere sostenuti, ma almeno non essere ostacolati in questo.